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I morti di Salò
di Franco Isman


il sindaco e il fascio
il sindaco e il fascio

“Con la fascia dai repubblichini” titola la Repubblica, “il sindaco prega per Salò” riporta in prima pagina su sei colonne il Giornale di Monza, questo è quanto si tende ad accreditare da parte di chi difende l'iniziativa di sindaco e giunta, ma che viene accettato anche da chi la critica duramente.

Ma non è così.
A Monza non esiste un campo dove siano seppelliti i caduti della Repubblica Sociale italiana, né per fortuna esiste una stele che li commemori. Sul monumento ai Caduti, ove sono incisi i nomi di tutti i caduti monzesi, pare ve ne sia soltanto uno che aveva militato fra i “repubblichini”.

Ed allora che si fa ? Nell'ansia della “pacificazione”, ma si dovrebbe correttamente parlare di voglia di omologazione, di parificazione, si inventa un campo che non c'è. E il sindaco con fascia tricolore, accompagnato dal fiero vicesindaco di AN, da altri membri della giunta e dal gonfalone della Città non trova di meglio che recarsi a rendere omaggio alla statua con vistoso fascio littorio di un gerarca fascista della prima ora, console della Milizia e generale delle camicie nere, morto nel 1930.
E questo è molto peggio: l'ossequio al fascio rappresenta addirittura un reato ed è comunque penoso vedere il rappresentante della città che si inchina davanti a questo simbolo.

Ma veniamo alla cosiddetta pacificazione: da parte degli antifascisti si rileva come, ferma restando la pietà per i morti, non sia lecito mettere sullo stesso piano chi ha combattuto per la Libertà e chi invece si è reso complice dell'occupazione e della barbarie nazista, chi ha contribuito alla nascita della Repubblica e della Costituzione e chi fino all'ultimo ha difeso la dittatura fascista. La pacificazione non può e non deve rappresentare un'omologazione fra tutti i caduti e tutte le cause.

Questo non significa criminalizzare i giovani che, soggetti al bando di reclutamento delle classi 1924 e 1925, promulgato dal maresciallo Graziani il 4 novembre 1943, si trovarono di fronte alla scelta fra disattenderlo nascondendosi o rifugiandosi in montagna, così rischiando la fucilazione, od obbedire, come il ventennio aveva insegnato, magari con la speranza di poter evadere al più presto. Non tutti i militi della RSI sono stati dei criminali, come non tutti i giovani rifugiatisi in montagna e diventati partigiani hanno avuto fin dall'inizio piena coscienza di combattere per la libertà.

Franco Isman
franco.isman@arengario.net


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  6 novembre 2007